La settima arte secondo Carl Haber


Il cinema come forma d'arte, di allucinazione, di comunicazione, dai risvolti etici oppure estetici, semplice apparenza ... si chiama la settima arte ed ha il compito, come tutte le forme d’arte, di sottrarre al tempo l’esperienza per renderla eterna.
Questo agosto ci ha regalato la preziosa occasione di intervistare Carl Haber, regista americano, scrittore, produttore di film indipendenti, professore di corsi di cinema in Italia e all’estero e fondatore della Rome International Film School.
Con disponibilità e straordinaria cordialità, il regista ci ha rivelato alcune interessanti sfaccettature del suo lavoro artistico, lasciando anche qualche prezioso consiglio ai giovani che sognano di intraprendere la carriera di filmmaker.

Innanzitutto, caro Carl, ci racconti, brevemente, qual è la tua idea di “cultura visiva” oggi?
Direi “Intellettuale”. Anche se trovo la definizione “cultura visiva” riduttiva per un prodotto cinematografico. Un film non è solo un’opera visiva, all’immagine si accompagna un contenuto audio e soprattutto un contenuto emotivo. Spesso la gente pensa ai film come forma di intrattenimento, ma ciò e vero fino ad un certo punto: un film senza una forte componente emotiva è debole. Durante i corsi di sceneggiatura, che rappresentano la prima fase dello sviluppo di un film, dico spesso ai miei studenti: non lavoriamo nel campo degli eventi ma delle emozioni, nel campo delle storie che evocano emozioni.
Oggi, soprattutto tra i giovani, l’accesso all’informazione e alle idee non avviene più attraverso i libri o il computer. Passa tutto attraverso lo schermo di uno smartphone. Questo può limitare l’efficacia dell’informazione, sia in termini di qualità che in quantità. E' molto importante, per chi lavora nel nostro ambito, capire come raggiungere i giovani. La televisione ed il cinema, per ora, hanno ancora un ruolo importante secondo me.
 

La tua ricerca artistica come regista ti ha portato ad elaborare progetti cinematografici attraverso forme narrative diverse: dal documentario al dramma alla commedia al thriller al silent movie. C’è una forma narrativa che prediligi? E, se sì, perché?
 Apprezzo tutti i generi ma, per qualche motivo che non conosco, i film comici sono quelli che mi hanno dato maggiori soddisfazioni.
Spesso il genere comico è sottovalutato dalla gente. Il pubblico “intellettuale”, in particolare europeo, tende a snobbare i film comici, attribuendogli meno valore. Credo, invece, che una commedia “ben fatta” sia un prodotto molto complesso da realizzare perché aggiunge, alla storia rappresentata, una dimensione in più, affrontando ugualmente tematiche importanti e profonde, ma senza pretenziosità e divertendo. Si aggiunge quindi l'elemento comicità. Credo che oggi, più che mai, faccia bene ridere e far ridere le persone. 
 Tornando alle mie preferenze, amo comunque spaziare e sperimentare generi diversi. Attualmente sto lavorando ad una serie TV che si intitolerà “Gray Areas”, un progetto basato su una serie di racconti brevi originali scritti da mia moglie Carmen Burcea-Haber. 


Il genere è un ibrido tra drammatico e dark humor, una nuova versione delle vecchie serie televisive “Ai confini della realtà” (The Twilight Zone) e “Hitchcock presenta Hitchcock” (Alfred Hitchcock Presents) degli anni 50’ e 60’.
Ogni episodio è un mini film a sé e racconta la storia di persone comuni, alle quali improvvisamente accade qualcosa di strano, di misterioso, di sorprendente.
Inoltre sto lavorando al mio prossimo film “For What It’s Worth”, una romantic comedy, la cui realizzazione è prevista per la prossima estate. 
Ho diversi progetti scritti nel cassetto, sia di genere drammatico che thriller, alla fine realizzerò quelli che troveranno strade di produzione.

Quello del regista è uno dei mestieri più affascinanti del mondo dell’arte, ma anche dei più complessi. Quanto e come incide sulla libertà della creazione il lavoro di équipe?
Il lavoro del regista si compone di diversi aspetti, spesso ignorati. 
Quello di condurre un team sul set è solo una parte del lavoro. La prima fase del lavoro, la più importante, è quella di trovare la “vision” del film. Ognuno può prendere la stessa sceneggiatura ed interpretarla in modo diverso.
Ho scoperto che in Italia, pochi registi fanno il lavoro di “script analysis”, attività che un regista deve fare per poter arrivare a definire quella “vision” fatta di idee concrete, motivate e chiare sul come si devono mostrare le cose, indicando tutti i dettagli che devono essere presi in considerazione quando si gira. Dalla “vision” dipenderanno poi le decisioni: sul casting, sulla location, sulla troupe, sulle inquadrature, sullo staging, ecc…


Se non si fa questo lavoro di indagine di tutto ciò che è necessario alla realizzazione del film, in modo che ogni scena del film sia coerente con la “vision”, le decisioni saranno arbitrarie ed il film mancherà, appunto, di coerenza. 
Quindi è la coerenza alla "vision" del progetto cinematografico la prima responsabilità del regista.
Questo è alla base della scelta del cast, del lavoro con gli attori, delle decisioni sullo staging, blocking, sul dove mettere la cinepresa, su come gestire la troupe, su quale atmosfera creare intorno alla produzione, ecc…
 
Parliamo del tuo rapporto con gli attori: nel delineare la psicologia di un personaggio, all’interno della vicenda cinematografica, dove finisce il lavoro del regista e inizia quello dell’attore?
L’analisi di un personaggio, secondo me, non deve essere finalizzata a comprenderne la psicologia, ma a capire le azioni attraverso le quali il personaggio prenderà vita. Occorre vedere i personaggi come persone, come esseri umani con pregi e difetti. E’ necessario amarli, prima di tutto. Anche quelli terribili, perché l’attore deve entrare in quella persona, diventare quella persona. Nessuno, nel profondo, è una persona totalmente negativa, anche i cattivi credono di avere la ragione dalla loro parte, o totalmente positiva, anche gli eroi sono pieni di dubbi. 
Allora, come ho detto prima, il lavoro incomincia con l’indagine del testo, la script analysis, che è un processo complesso e lungo, paragonabile al lavoro di un detective che deve scoprire tutti gli elementi della storia, che al 90% sono nascosti, come la parte sommersa di un iceberg.      
Questo processo preliminare richiede la comprensione dei fatti della storia, l’identificazione di tutti gli elementi assolutamente indispensabili, dei più veri, e poi di inventare, immaginare, e quindi attuare scelte creative.
E’ importante metabolizzare di cosa tratta il film veramente, non cosa succede nel film, quello spesso è ovvio, ma cosa si vuol dire sull’argomento. Non c’è una storia se non c’è una lezione fondamentale da imparare, grazie alla quale avviene il cambiamento di qualcuno. 
Il lavoro con l’attore è quello di discutere il carattere del personaggio, di trovare le tre dimensioni della persona: cosa la fa funzionare, come ragiona, cosa vuole più di ogni altra cosa. 
Poi nel corso della storia gli obiettivi cambiano, cambiano le intenzioni. 
Con l’attore cerchiamo insieme queste cose, basandoci sull’interpretazione della sceneggiatura – questo scena dopo scena – momento dopo momento.
 

Poi quando si gira tocca all’attore tirare fuori tutto quello che abbiamo discusso. Il lavoro dell’attore è incredibile perché è un misto di preparazione e spontaneità. 
Nutro un profondo rispetto per i bravi attori, che sanno fare il loro mestiere davvero. Io non ne sarei mai capace… posso aiutarli ma poi quello che loro riescono a fare è davvero difficilissimo.
 
Il tuo ultimo film “THE WRONG MR. JOHNSON” affronta il tema del Fato: un musicista ed una donna in cerca di sè stessa, un incontro dovuto ad un errore che cambierà la loro vita. Inevitabile il nesso con il concetto di sincronicità di Jung. Quanto la tua formazione da psicologo ha inciso sui tuoi lavori cinematografici?
Non è un film sul Fato. E’ un film su una donna abusata, imprigionata in un rapporto malsano, che crede di essere stupida.
La sua vita è terribile e quando il suo fidanzato viene arrestato lei dovrà trovare i soldi per farlo uscire di prigione. E’ costretta a fare la escort per uno straniero in arrivo in città per un weekend di sesso. Solo che quando va in aeroporto per incontrare questo cliente si sbaglia ed incontra un uomo diverso ma con lo stesso nome. 
Il caso vuole che ci siano due uomini di nome Johnson che arrivano all’aeroporto di Praga in quello stesso momento. L’uomo venuto per un weekend di sesso viene intercettato da una ragazza che in realtà aspettava un musicista, mentre il musicista incontra la nostra protagonista. 
Dall’errore nascono delle situazioni divertenti e alla fine l’errore si rivelerà un evento fortunato. Il messaggio è che talvolta i nostri errori possono rappresentare una fortuna e che in fondo il fatto di non poter pianificare la vita è una buona cosa. La struttura della storia è classica e questo film, più che psicologico, lo definirei un po’ zen.
Anche il nuovo film su cui sto lavorando, “For What It’s Worth”, è ispirato ai vecchi classici del genere di Billy Wilder e Preston Sturges. 
E' vero, ho un background formativo da psicologo ma non ho mai pensato che un film debba essere troppo pieno di psicologia. Forse alcuni elementi li introduco istintivamente ma non chiedo agli attori di creare il loro personaggio sulla base di elementi  psicologici, non funzionano.
Gli attori si chiamano "attori" perchè trasmettono emozioni tramite le azioni. 
I migliori registi dirigono gli attori nell’interpretazione delle azioni e non dei feelings. Gli attori agiscono e ciò che si dirige è quello che fanno. Non si chiede mai all’attore di sentire qualcosa. Si chiama “result direction” quando un regista chiede all’attore un’emozione, di sentire rabbia, gioia, passione, ma si sbaglia quando si dirige così. Un attore deve generare l’emozione da solo, autonomamente, attraverso quello che fa.
E’ per questo che si chiamano “actors” e non “feelers”. Ci danno emozioni attraverso quello che fanno. Comunicano le loro emozioni così, non psicologicamente.
 
Puoi dare qualche consiglio o suggerimento su quale sia l’iter formativo ottimale per giovani che sognano di intraprendere la carriera di regista?
Per prima cosa possono venire a studiare da noi alla Rome International Film School o in altre scuole di cinematografia serie.
 
Spot RIFS:Rome International Film School 

E’ importante capire se una scuola è seria o meno: spesso ci si imbatte in corsi di formazione deboli se non proprio finti. Se un corso di formazione di regia si riduce ad insegnare come fare lo storyboard di un film allora forse è il caso di rivolgersi altrove. Ci sono ottime scuole ma anche scuole con corsi inutili.
Fondamentale, per partire bene, è avere una cultura cinematografica ampia che comprende la conoscenza di film a partire dagli anni 30’ ad oggi. Riscontro spesso nei giovani una scarsa conoscenza del cinema del passato.
Altra cosa importante è saper andare oltre i gusti personali, essere curiosi. Avere una cultura cinematografica che spazi su tutti i generi, anche su quelli meno affini ai propri gusti. Più ampia è la conoscenza di cosa è stato già fatto e maggiore è la possibilità di esprimersi al meglio e creare progetti nell’ambito cinematografico contemporaneo.  
Una buona preparazione come regista comprende l’aver imparato: come fare bene il fondamentale lavoro di script analysis, come lavorare con gli attori, come sviluppare il carattere necessario per gestire la troupe, non tutti hanno il carattere adatto. Occorre avere un sacco di pazienza, la testa dura e allo stesso tempo flessibile, non essere permalosi, avere qualcosa da dire sulla vita, sulle persone, qualcosa che sia originale. E poi si deve imparare come usare il mezzo cinematografico/ televisivo per raccontare in modo visivo storie interessanti. C’è molto da fare.
  
Su cosa stai lavorando ora e quali sono i tuoi progetti futuri?
Come ho già detto sto preparando la serie televisiva “Gray Areas” , un’antologia di storie macabre. Prepareremo le prime sei puntate questo autunno. Ho finito di scrivere la sceneggiatura per  “For What It’s Worth”, che spero gireremo nella prossima estate, e che sarà ambientata tra Italia e Canada.
Comunque il progetto più imminente è l’avvio dei corsi alla Rome International Film School, un progetto che ho davvero molto a cuore. 


Che tipo di formazione offre la scuola, ci puoi dare qualche dettaglio in più sui corsi?
Inizieremo in Ottobre con 6 corsi: in regia, sceneggiatura, montaggio, After Effects, 3-D Animation, e smartphone filmmaking. 
Sono corsi di 30 ore, della durata di 6 ore a settimana per 5 settimane. Ripeteremo questi corsi anche a Gennaio del prossimo anno.
In Febbraio terremo un crash course di 12 settimane per studenti internazionali ed italiani strutturato in questo modo:
  • 4 settimane di corsi intensivi in regia, sceneggiatura, montaggio, produzione cinematografica, audio, scenografia e recitazione;
  • 4 settimane durante le quali gli studenti gireranno i loro film, gli studenti lavoreranno sia sul proprio progetto che su quello degli altri;
  • 4 settimane dedicate al montaggio dei progetti realizzati.
Alla fine del corso ogni studente avrà realizzato un proprio lavoro e lavorato su almeno 5 altri progetti di altri studenti.
Poi in Giugno terremo un corso breve di 4 settimane che ricalca il crash course di 12 settimane: 2 settimane di lezioni, 1 settimana di produzione e 1 settimana di montaggio.
Da Settembre 2017 inizieremo con i Corsi Annuali che si svilupperanno in due semestri. Durante il Secondo Anno di corso (che partirà nel 2018) verranno selezionati 10 studenti che realizzeranno un lungometraggio – un feature film.
La scuola produrrà quindi ogni anno una serie di corti ed un lungometraggio.


RIFS ha come obiettivo quello di insegnare i fondamenti per la formazione dei filmmakers del futuro. Per chi avesse interesse consigliamo di andare sul nostro sito (www.rifs.it), dove è possibile avere tutte le informazioni necessarie sui corsi, sui docenti, sui costi e dove è possibile vedere anche esempi di lavori fatti da miei ex allievi di altre scuole di cinema dove ho insegnato (in USA ed in Europa).
 
Ringrazio Carl Haber per questa intervista, una preziosa opportunità di vedere, attraverso lo sguardo del regista, cosa c'è dietro il magico mondo del cinema.

Questo post è stato scritto da © Fabiola Di Girolamo. 
Il post e il video facevano parte del progetto "Ispirazioninfiera - Vitearegoladarte"

Commenti

Post popolari in questo blog

Nel mondo incantato della maglieria per neonati con Il Neonato di Graziella

Pencil art: microsculture in punta di matita

Maddalena Vaglio Tanet, Tornare dal bosco