Vivere l'abito secondo Santarella



Non sapevo che le parole Abito e Abitare avessero la stessa radice etimologica Habere, intesa sia come modo di essere, disposizione, atteggiamento, sia come abitudine, consuetudine dello stare e dell’abitare.
Indossare un abito dunque significa far vivere non solo una forma, ma una sensibilità attraverso la quale ci rapportiamo all’ambiente e agli altri. Perché è dentro un abito che noi abitiamo il mondo.
Un concetto a me sconosciuto e che ho scoperto grazie all'incontro con Barbara Annunziata e Francesca Gattoni, architetti, fashion designer e creatrici del brand Santarella.
Ho avuto la fortuna di incontrare Barbara Annunziata, la metà di Santarella, in un loro “evento esperienziale”, ospitato nello showroom di Alessandra Calvani.
Confesso che mi incuriosiva parecchio capire, perché chiamassero così i loro eventi. Dopo aver sperimentato i capi Santarella ho capito…
 
A qualche giorno di distanza dall’evento, ho chiamato Barbara al telefono e le ho chiesto di spiegarmi il loro modo di interpretare gli immaginari e i desideri della contemporaneità attraverso il fashion design.
Lei me lo ha raccontato così.


 
Santarella nasce nel 2009 dall’incontro creativo di due architetti: Barbara Annunziata e Francesca Gattoni, che si “santificano” alla “rella”. Cosa vuol dire il nome del vostro brand?
Quando abbiamo deciso di avviare la nostra attività volevamo un nome che fosse di buon auspicio. La rella, nel gergo cinematografico, è lo stand dove si appendono gli abiti di scena. Quindi il marchio Santarella si compone in realtà di due parole: Santa Rella.
Successivamente abbiamo scoperto, attraverso ricerche sul web, la storia di Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, una santa vissuta nel 1700 nei quartieri spagnoli di Napoli e soprannominata “santarella”. La Santa è venerata come protettrice della maternità e delle donne che desiderano avere un figlio. 
La sua storia ci ha incuriosito e ci siamo documentate meglio, scoprendo che la “santarella” da giovane ricamava con fili d’oro su tessuto. Da questa scoperta abbiamo tratto ispirazione per il nostro logo che è color oro ed ha la santina sulla seconda A. In seguito abbiamo scoperto, cosa ancora più stupefacente, che i genitori della Santa si chiamavano Francesco e Barbara.
 
E’ incredibile… sono segni questi!
Io sono agnostica. Ma ti dico che ogni volta che sono a Napoli non perdo l’occasione di visitare la piccola chiesa santuario di Vico Tre Re, 13, ricavata vicino alla casa della Santa. Non so, è qualcosa che ci è arrivato per caso, ma è fortemente legato alla nostra storia.


Indubbiamente ha una forte valenza simbolica per il vostro brand. La vostra produzione esalta il made in Italy, come voi lo definite. Quali sono i requisiti che devono avere i vostri prodotti?
 Innanzitutto partiamo da un’attenta ricerca del tessuto, che deve essere rigorosamente italiano. Utilizziamo sia tessuti puri, come pure lane o pure sete, che tessuti tecnici.
I tessuti tecnici ci attraggono molto, perché hanno requisiti che ci consentono ad esempio di tenere il taglio vivo, permettendoci di creare capi che non hanno superfici limitate da un confine. Inoltre hanno una grande elasticità che ci permette di lavorare con il principio di sovrapposizione delle taglie.
Le nostre taglie attualmente sono 3: Audrey che va dalla 40 alla 44, Anita dalla 44 alla 48, Antonietta che copre le curvy superiori. E stiamo per introdurre Alice che coprirà le taglie inferiori, facendo l’occhiolino alle donne orientali, generalmente più minute.


Inoltre i nostri capi sono lavorati da un laboratorio artigiano, situato a Casarano, nel distretto della moda pugliese. Anche per questo il caso ci ha aiutato. Francesca e io ci siamo imbattute in questo laboratorio durante una vacanza nel basso Salento e abbiamo conosciuto queste ragazze, che avevano all’epoca appena riaperto la loro attività, chiusa due anni prima a causa di mancati pagamenti su commesse provenienti da grandi marchi. Poi una di loro, la più coraggiosa, Annarita - che oggi è anche il nostro supervisore - ha deciso di rimettersi in gioco e ha riaperto il laboratorio richiamando le sue ex socie, che oggi sono diventate sue collaboratrici. Lavoriamo con loro da tempo e siamo molto soddisfatte di questa collaborazione.

 
Come funziona avere un laboratorio a distanza?
Per le prime commissioni è stato necessario spostarci. Francesca e io scendevamo giù con il furgoncino carico di tessuti e lavoravamo con loro per una settimana almeno, per progettare e realizzare insieme i prototipi. 
Questo passaggio è stato necessario in quanto normalmente un’azienda manda in laboratorio i cartamodelli ed il laboratorio esegue esattamente quello che il cartamodello dice. Con noi questo non succedeva perché, da architetti, noi disegniamo i nostri modelli in AutoCAD, quindi è stato necessario il passaggio di traduzione dei modelli dal linguaggio AutoCAD al linguaggio sartoriale.
Ma grazie a questo lavoro collaborativo alcuni capi li abbiamo letteralmente ricreati insieme al laboratorio.  Abbiamo, grazie a loro, introdotto modifiche e innovazioni sulla struttura dei nostri capi, lavorando insieme su settaggi speciali di macchine come le orlatrici, ad esempio introducendo come struttura portante di alcuni capi, un cordolo, che altro non è che un bordo lavorato molto fitto, attraverso un settaggio speciale delle orlatrici e lasciando il resto del capo indefinito, libero e a taglio vivo.
E’ stato un proficuo lavoro di équipe.

 
Perché i vostri capi sono particolari? Perché sono diversi dagli altri?
Tutta la collezione nasce con l’obiettivo di affidare alle donne che la indosseranno un’apertura interpretativa. Apertura che possa anche accompagnare le diverse esigenze che una donna può avere sia nell’arco di una giornata che nell’arco di periodi particolari della vita.
La Ruota, ad esempio, è un capo ad alta versatilità, non ha direzione: né sopra né sotto né dritto né rovescio. Si tratta di due strati di tessuto uniti da una cucitura che diviene giunto elastico del capo e che permette una capacità di accogliere le diverse forme che la femminilità può assumere.
Tutti i nostri capi sono double face. La Ruota, come anche le giacche o i cappotti, nascono per accompagnare il corpo nelle sue trasformazioni temporanee e/o permanenti. L’esempio più estremo è la gravidanza. Questi capi possono essere tranquillamente indossati prima, durante e dopo. 


La collezione Santarella supporta ogni tipo di femminilità, perché non ha cugni, chiusure lampo o elementi che limitano e definiscono una ed una sola forma. Anche una stessa taglia non è uguale all’altra, perché ogni donna ha la sua particolare conformazione.
Ci sono molti brand, secondo noi, che non vogliono bene alle donne e definiscono taglie filiformi e limitanti per il corpo, che oltre che essere diverso da donna a donna è diverso nel tempo.  E’ troppo facile subire la fascinazione di quei brand che disegnano figurine meravigliose, ma che non hanno alcuna corrispondenza con la realtà.  Noi ragioniamo sulle donne reali, le donne che lavorano, che sono mamme ...

Le nostre "modelle", Santa e Valentina, sono donne reali, non sono indossatrici professioniste. Questo perché il brand è pensato per loro. 
Quindi c’è un rispetto di tutte le tipologie delle donne, perché ciascuna ha le sue caratteristiche che comunque sono distintive di una propria femminilità. Per noi al centro c’è la donna e non il progetto di design.
I nostri capi sono frutto di una progettazione che deriva, come linguaggio, direttamente dall’architettura, ma che rispetta al tempo stesso il fruitore. Per noi progettare, sia come architetti che come fashion designer, vuol dire prima di tutto recepire le esigenze di chi andrà a vivere lo spazio che progettiamo. Questo modo di pensare ci consente di conferire ai nostri capi una apertura interpretativa che ti segue con il tempo perché ogni capo è facilmente modificabile.

In un certo senso possiamo dire che i vostri capi non muoiono mai…
Esattamente. Infatti c’è molta differenza tra quello che è moda e quello che è stile.
Da presuntuosa amo dire che Santarella appartiene a quelle operazioni di stile e non di moda. Questo perché tra una collezione e l’altra non avviene mai un cambio di linguaggio. Il linguaggio è questo, puro, lineare, essenziale. Realizziamo progetti creativi che si implementano di collezione in collezione, ma di fatto il nostro cappotto lo stiamo producendo dall’inizio della nostra carriera e continueremo. Ovviamente sperimentando nuovi tessuti, nuovi colori, introducendo piccole ma costanti innovazioni che di volta in volta caratterizzano le nuove collezioni e hanno il ritmo proprio del nostro percorso progettuale e di ricerca. Attualmente stiamo lavorando per implementare il brand con una linea dedicata ai più piccoli, quindi presto sarà disponibile sul nostro e-shop anche la nuova linea Santarell-ina.


Della vostra mission mi piace, in particolare, l’intenzione di “voler mettere la persona al centro del proprio progetto di moda”, cioè si capovolge un po’ lo sguardo! Non è il brand il protagonista indossato, ma il capo è messo al servizio della creatività di ciascuno di noi. Uno stimolo a scoprirsi, riscoprirsi e inventarsi?
Sì, esatto. Infatti quando qualche cliente si spaventa davanti alle infinite possibilità di poter indossare i nostri capi noi diciamo Troverai il tuo modo.  Abbiamo clienti che indossano la Ruota semplicemente aperta come fosse un blazer e clienti, più creative, che iniziano a sperimentare e scoprono mille modi di utilizzare questo capo.


In pratica, attraverso i vostri abiti, voi incentivate e stuzzicate la creatività, che magari in alcuni di noi è sopita o forse solo stordita da questi brand sempre più immateriali, che ci innestano dentro stili che non ci appartengono sempre completamente.
Guarda questa che dici è una cosa che abbiamo sperimentato e toccato con mano, con grande emozione, nei momenti in cui abbiamo realizzato un video, in occasione del Festival del Cinema dell’Isola Tiberina, che si svolge ogni anno durante l’estate romana.


Anni fa, nell’ambito del Festival, era prevista la proiezione del famoso film di William Wyler “Vacanze Romane”, restaurato. Siccome il nostro brand utilizza, al posto delle misure, i nomi di famose icone cinematografiche, ci invitarono a realizzare un video – girato da Edouard Arnauld - che raccontasse un po' la nostra Ruota indossata dalle donne. Noi per l’occasione chiamammo 21 donne, nostre amiche e conoscenti, molto diverse tra loro. Il gioco era quello di agire dentro uno spazio, sperimentando a modo proprio una Ruota in seta.

E’ stata un’esperienza meravigliosa. Vedere come, nel momento in cui indossavano la Ruota, ci fosse quasi un cambiamento di ruolo da parte loro. Ricordo una mia amica avvocato, mamma di tre bambini, che aveva inizialmente accettato di farsi riprendere, ma poi alla vista delle telecamere si era bloccata. Allora l’ho calmata e truccata e lei ha indossato la Ruota e ci ha giocato in modo stupendo. Dopo mi ha confidato che per lei inventarsi dentro questo capo era stata un’esperienza quasi catartica. Un gioco che, a sua detta, l’aveva ricongiunta con una parte del suo corpo e della sua femminilità, trasformato da tre gravidanze.
Questa esperienza è stata davvero interessante. Ne abbiamo parlato anche con una psicoterapeuta, che era poi una delle 21 interpreti. Anche lei sosteneva che un capo di abbigliamento può diventare uno strumento attraverso il quale (riprendere a) giocare con se stesse.

La comunicazione digitale sta cambiando un po' le carte in tavola nel mondo del fashion design e mi riferisco ai fashion blog. Prendiamo ad esempio The Blond Salad che Chiara Ferragni ha fatto diventare un business mondiale. Questi sono i nuovi trend setter della moda, che attraverso la rete raggiungono un pubblico planetario… Cosa ne pensi di questi sviluppi?
Mah… sono molto critica a riguardo. Trovo che ci sia un’estrema superficialità sulla reale conoscenza delle cose, ma questo su tutto, non solo sul fashion design. Ormai è troppo diffusa la tendenza di dare giudizi su ogni cosa senza sapere poi realmente nulla. A partire dalla notizia politica, che viene fruita attraverso post di 10 righe su Facebook e poi non approfondita sui quotidiani. E’ sicuramente una situazione alterata, inquinata.
Riguardo al fashion blogging non comprendo il potere che viene dato a giovani ragazzine spesso viziate, che possono permettersi di spendere mila e mila euro per acquistare vestiti costosi solo per farsi selfie, indossandoli e girando… perché di fatto l’operazione che fanno è questa. Vedo tutto questo uno strumento a rischio. Attraverso queste operazioni non passa il significato della moda e del design né tanto meno i valori intrinseci di un marchio. 
Riguardo al digitale trovo sia uno strumento molto democratico, ha dato la possibilità anche a piccoli marchi come il nostro di emergere. Dal web, infatti, sono arrivate molte opportunità. D’altro canto il web è un mare e tu sei una goccia in questo mare. Sei a confronto con il mondo intero nel bene e nel male. Però è molto stimolante. Va studiata e seguita la vita di un brand sui social, il potenziale è infinito. Il problema serio di Santarella è che siamo Francesca e io, siamo due e facciamo tutto! Grazie alla forma mentis da architetti quali siamo, riusciamo a coprire più ruoli, ma non vorremmo essere tuttologhe! E’ molto impegnativo e io ho una gran voglia di tornare a creare, perché di fatto è la creazione pura che mi appartiene. 


La moda è cultura. Possiamo definirlo un catalizzatore e traduttore di quelli che sono gli impulsi che fanno andare avanti la contemporaneità. Secondo te, di cosa c’è bisogno nel nostro sistema culturale, perché ci si avvicini di più al valore dell’artigianato, del fatto a regola d’arte?
 
Questo è un tema a noi molto caro ed in questo momento ci tocca da vicino. Stiamo cercando di ampliare il nostro raggio d’azione attraverso il supporto di investitori privati. Credo che quello che noi definiamo artigianato industriale sia un ottimo connubio tra queste due tendenze che dicevi tu… ovvero da una parte il valore dell’oggetto unico fatto a mano e dall’altra la produzione in serie. 


Mi viene in mente il periodo della rivoluzione industriale in Inghilterra in cui appunto c’è stato il passaggio dall’artigianato all’industrializzazione. Un periodo perfetto in cui era la piccola produzione industriale, ovvero l’artigianato industriale, a prosperare. Una fase che oggi si dovrebbe riprodurre….
Noi siamo a metà tra la figura di designer e quella degli artigiani, perché quando realizziamo prototipi ci sporchiamo le mani, utilizzando stoffe, provando, settando le macchine da cucire … dentro il nostro marchio c’è il saper fare con le mani, c’è tutto il saper fare made in Italy, fatto di quella attenzione alla qualità che ci ha reso famosi in tutto il mondo.

Dove e come è possibile acquistare i capi e gli accessori Santarella?
Da poco abbiamo lanciato il nostro store on-line, ma seguendo le news sia sulla pagina Facebook che sul nostro sito. Inoltre è possibile incontrarci nei nostri eventi esperienziali, che realizziamo in contesti creativi, come quello che hai visto presso lo showroom Alessandra Calvani Design.
 
Grazie Barbara per il tempo che mi hai concesso e in bocca al lupo per il vostro fantastico brand! 

Questo post è stato scritto da © Fabiola Di Girolamo. 
Il post e il video facevano parte del progetto "Ispirazioninfiera - Vitearegoladarte" 

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